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Castore e Polluce

La storia epica di Castore e Polluce, i gemelli della mitologia greca divisi tra cielo e terra, tra amore fraterno, eroi e dei immortali.

Castore e Polluce

Sbarcati sulle coste del Peloponneso, Paride ed Enea si misero in cammino verso l’entroterra. Durante il tragitto fecero tappa a Lacedemone, dove vennero accolti da Castore e Polluce, i fratelli acquisiti di Elena. Sebbene gemelli, i due condividevano soltanto la madre, Leda. La leggenda narra infatti che ella, in una sola notte, si unì sia al re Tindaro che al dio Zeus, generando così due figli perfettamente identici: Polluce, figlio dell’Olimpico, era immortale, mentre Castore, nato dall’unione con l’uomo, era destinato alla morte. Nonostante la diversa origine, la loro somiglianza era tale che nessuno dubitava della loro comune paternità, tanto che venivano chiamati “Dioscuri”, ossia “figli di Zeus”.

Tindaro aveva tre fratelli: Icario, Afareo e Leucippo. Ognuno di loro vantava discendenze illustri. I più noti erano Ida e Linceo, figli di Afareo, e le splendide Febe e Ilaria, figlie – almeno formalmente – di Leucippo. La bellezza delle due giovani era tale da far sospettare che il loro vero padre fosse Apollo stesso. Castore e Polluce, perdutamente innamorati di Febe e Ilaria, le rapirono e da queste unioni nacquero rispettivamente Anfittere ed Enope.

Quella stessa sera in cui Paride ed Enea giunsero a Lacedemone, anche Ida e Linceo erano ospiti dei Dioscuri. Durante il banchetto, i cugini allusero con sarcasmo alle modalità poco ortodosse con cui Castore e Polluce avevano ottenuto le loro spose. I Dioscuri, punto sul vivo, risposero rinfacciando loro l’invidia: in fondo, anche Ida e Linceo avrebbero desiderato donne così belle. Ne scaturì un litigio violento, che culminò con l’allontanamento dei cugini e reciproche minacce di vendetta.

Paride ed Enea, rimasti in disparte durante la disputa, assistettero in silenzio. Paride, però, ebbe un’improvvisa intuizione: anche dietro un rapimento, se guidato dal favore divino, poteva nascere l’amore. Un pensiero utile per l’impresa che stava per compiere.

Accolti a Sparta con tutti gli onori da Menelao, Paride ed Enea furono trattati da ospiti d’eccezione per nove giorni. Fu allora che Paride vide per la prima volta Elena nella sua sfolgorante bellezza. Non lasciò trapelare alcuna emozione, nemmeno quando le offrì preziosi doni. Al decimo giorno, Menelao dovette partire improvvisamente per Creta, lasciando la moglie a prendersi cura degli ospiti.

La sua fiducia si rivelò mal riposta. Mentre era lontano, Afrodite, fedele a Paride, lo avvolse in un’aura di irresistibile fascino. Elena, stregata dalla bellezza e dalla nobile figura del giovane, si abbandonò a lui senza resistenza. I due si rifugiarono nella stanza più intima del palazzo e lì si unirono in un lungo abbraccio amoroso. Paride la persuase a seguirlo a Troia, promettendole nozze regali e una vita degna della sua bellezza. Elena acconsentì, abbandonando casa, patria e persino i suoi figli: la piccola Ermione e il giovane Clistene.

La notte seguente, i due amanti salparono con una nave carica di ricchezze sottratte alla casa reale. Ma il loro viaggio fu subito turbato dall’ira di Era, nemica giurata di Paride per l’oltraggio subito durante il giudizio del pomo. La dea scatenò una tempesta che deviò la rotta della flotta, conducendoli fino a Sidone. Qui rimasero per un certo tempo, tanto da essere proclamati sovrani. Ma alla fine decisero di dirigersi verso Troia, dove celebrarono le nozze e misero al mondo un figlio, Pagano.

Il destino di Castore e Polluce

Non era la prima volta che Elena veniva rapita per la sua bellezza. In passato, anche Teseo, re di Atene, aveva tentato di farla sua. Con l’aiuto dell’amico Piritoo, le tese un agguato mentre sacrificava agli dèi e la condusse con sé. Ma Piritoo, in cambio del favore, chiese a Teseo di aiutarlo a rapire Persefone, figlia di Zeus e regina dell’Oltretomba. In attesa del viaggio, Elena fu affidata al re di Afidna.

I Dioscuri, venuti a sapere dell’oltraggio, marciarono contro Afidna e, dopo un lungo assedio durante il quale Castore fu ferito alla coscia, riuscirono a liberare la sorella. Non contenti, si spinsero fino ad Atene in cerca di Teseo, che però era già partito. Infuriati, devastarono la città e poi tornarono indietro con Elena.

Al tempo del secondo rapimento, quello ad opera di Paride, i Dioscuri non poterono intervenire: erano ormai divisi da un dissidio con i cugini Ida e Linceo, a causa di vecchi rancori. Decisero di vendicarsi sottraendo ai cugini le loro armi, ma durante il furto furono scoperti. Cercarono rifugio nel cavo di una quercia, decisi a tendere un agguato. Linceo, dotato di una vista prodigiosa, li scorse dalla cima del monte Taigeto e avvisò il fratello. Ida raggiunse l’albero e colpì Castore, uccidendolo. Ma subito Polluce uscì dal nascondiglio, furente, e vendicò il fratello uccidendo Linceo. Ida, in fuga, riuscì a colpire Polluce con un sasso, stordendolo.

Zeus, assistendo alla scena dall’Olimpo, annientò Ida con un fulmine e trasportò Polluce in cielo, poiché era immortale. Ma l’eroe, straziato dal dolore per la perdita del fratello, rifiutò il dono dell’eternità. Desiderava condividere la sorte di Castore, anche se ciò significava morire. Commosso dalla sua pietà, Zeus accolse la sua richiesta: concesse ai due fratelli di vivere a giorni alterni, uno tra gli uomini e l’altro tra gli dèi, affinché nessuno dei due fosse mai solo.

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