Chi era il mostro Tifone? La mitica personificazione dei terremoti e delle eruzioni vulcaniche.
Per vendicarsi dell’eccidio dei Giganti, la Madre Terra si unì al Tartaro nella grotta di Coricia in Cilicia, generando il più giovane dei suoi figli: Tifone, il mostro più grande che mai avesse visto la luce del sole.
Il termine Coricia che significa “sacca di cuoio”, potrebbe alludere all’antica usanza di imprigionare i venti negli otri, come fece Eolo, e che venne perpetuata fino all’epoca delle streghe medievali. In un’altra grotta Coricia a Delphi abitava il serpente Pitone, compagno di Delfine. Ma Pitone non era Tifone: rappresentava piuttosto la forza distruttrice del vento del nord, ed era spesso raffigurato con una coda di serpente che si abbatteva sulla Siria scendendo dal monte Casio, e sulla Grecia scendendo dal monte Emo.
Tifone, al contrario, è associato alla furia distruttrice di un vulcano. Il suo nome evoca il soffio infuocato dello scirocco, il vento rovente proveniente dal deserto libico, che in Grecia e in Libia si credeva potesse far impazzire gli uomini. Questo vento, che porta con sé l’odore del fuoco e del vulcano, era raffigurato dagli Egizi con sembianze asinine, e identificato con l’alito di Set, il dio del deserto, nemico di Osiride. Così, come Pitone tentò di sopraffare Apollo, anche Tifone tentò di sconfiggere Zeus. Entrambi, tuttavia, vennero infine sconfitti. La somiglianza delle due storie ha contribuito nel tempo a confondere Pitone con Tifone.
La battaglia contro Zeus
Tifone era un essere colossale: dalle cosce in giù, un groviglio di serpenti; le sue braccia si estendevano per cento leghe in ogni direzione e si concludevano con innumerevoli teste serpentiformi; la sua testa d’asino toccava le stelle; le sue ali oscuravano il sole. Dai suoi occhi scaturivano fiamme, e dalla bocca lanciava rocce infuocate. Quando attaccò l’Olimpo, gli dèi fuggirono terrorizzati rifugiandosi in Egitto, trasformandosi in animali: Zeus in ariete, Apollo in corvo, Dioniso in capra, Era in vacca, Artemide in gatto, Afrodite in pesce, Ares in cinghiale, Ermes in ibis. Solo Atena restò, e rimproverò Zeus per la sua codardia. Incitato, Zeus si riprese e lanciò una folgore contro Tifone, seguita da un colpo del falcetto con cui aveva castrato Urano.
Ferito, Tifone si rifugiò sul monte Casio, a nord della Siria. I due si affrontarono nuovamente: Tifone avvolse Zeus nelle sue mille spire, gli strappò il fulmine e gli recise i tendini delle mani e dei piedi, trascinandolo nella grotta di Coricia. Sebbene immortale, Zeus era immobilizzato. Tifone nascose i tendini in una pelle d’orso custodita da sua sorella Delfine, un mostro dalla coda di serpente.
Alla notizia della sconfitta, gli dèi furono presi dal panico. Hermes e Pan si recarono segretamente nella grotta: Pan terrorizzò Delfine con un urlo improvviso, mentre Hermes recuperò i tendini e li restituì a Zeus.
Secondo Luciano, la fuga degli dèi in Egitto sarebbe stata inventata per giustificare il culto di divinità zoomorfe: Zeus come ariete, Ermes come ibis o gru, Era come vacca, Artemide come gatto, e così via. Ma potrebbe anche riferirsi a un evento storico: un esodo di sacerdoti dell’Egeo, causato da un’eruzione vulcanica che intorno al 2000 a.C. inghiottì metà dell’isola di Thera.
Altri raccontano che fu Cadmo a recuperare i tendini da Delfine, fingendo di volerli usare come corde per la lira. Suonando una musica meravigliosa, distrae Delfine, e Apollo la uccide. Il mito di Zeus imprigionato nella pelle d’orso allude forse all’umiliazione del dio a opera della Grande Dea, venerata come Orsa a Delfi, uno dei principali centri oracolari.
In un’altra versione del mito, le Moire offrirono a Tifone frutti effimeri, simili alle mele della morte, facendogli credere che gli avrebbero restituito la forza. Zeus, ripresosi, salì su un carro trainato da cavalli alati e inseguì Tifone fino al monte Nisa. Poi giunsero al monte Emo, dove Tifone lanciò contro di lui montagne una sull’altra, ma Zeus, protetto dalle sue folgori, le respinse: esse rimbalzarono e colpirono il mostro, ferendolo gravemente. Si dice che i fiumi di sangue sgorgati dal suo corpo diedero al monte Emo il suo nome.
Tifone fuggì quindi in Sicilia, dove Zeus lo schiacciò sotto il monte Etna, che da allora erutta fuoco.
Infine, elementi di questo mito si ritrovano anche nella leggenda ittita di Ullikummi, il gigante di pietra che minacciò i dèi del cielo. Fu Ea, dio della saggezza, a sconfiggerlo usando lo stesso coltello con cui cielo e terra erano stati un tempo separati. Anche gli Alcioni, cresciuti fino a toccare il cielo e capaci di cantare per far crollare le montagne, sembrano riprendere questi archetipi. È probabile che tali leggende siano state portate in Grecia dai popoli dell’Asia Minore.