Un viaggio nel mito di Andromaca, figura simbolica di fedeltà e resilienza. Dalla caduta di Troia alla sopravvivenza come schiava, madre e poi regina, il racconto attraversa i testi di Euripide, Seneca e Virgilio, esplorando il dolore della guerra e la forza della memoria che trasforma la tragedia in speranza.
Andromaca: icona di fedeltà
Andromaca, sopravvissuta alla morte del marito Ettore, rimane per sempre nella tradizione il simbolo della moglie fedele, custode del ricordo eroico del consorte. Tuttavia, la sua sopravvivenza dopo la caduta di Troia ha offerto ai poeti l’opportunità di rielaborare il mito, arricchendolo di nuove sfumature narrative. Le sue origini nobili, figlia del re Eezione di Tebe Ipoplacia in Cilicia (Asia Minore), la accompagnano nel suo destino tragico.
La guerra e le perdite
Arrivata a Troia come sposa del principe Ettore, figlio del re Priamo, Andromaca vede infrangersi ogni auspicio positivo. La guerra la priva prima del padre e di sette fratelli, tutti uccisi da Achille in un solo giorno, e poi dello stesso Ettore, anch’egli caduto per mano dell’eroe acheo. Ma l’orrore non si ferma: prigioniera dei vincitori, viene assegnata come concubina a Neottolemo, figlio di Achille. Il loro bambino, Astianatte, le viene strappato e gettato dalle mura, secondo alcune fonti da Ulisse, secondo altre da Neottolemo, per evitare il rischio di una futura rinascita di Troia.
Andromaca secondo Euripide
Euripide dedica ad Andromaca due tragedie: “Andromaca” e “Le Troiane”. In queste opere, la figura della donna è delineata come emblema del dolore e della resistenza. In “Le Troiane”, ambientata subito dopo la caduta di Troia, Andromaca compare su un carro col figlio in braccio e le armi di Ettore, divenuta bottino di guerra. La sua disperazione, così come quella delle altre prigioniere troiane, mostra al pubblico ateniese le atrocità della guerra, con una forza evocativa profondamente politica.
Nel corso del dramma, l’annuncio della condanna a morte di Astianatte infrange la tenue speranza espressa poco prima da Ecuba. Andromaca, che inizialmente è tutta concentrata sulla memoria del marito, affronta il dolore più atroce: la perdita del figlio. Le sue parole diventano un compianto che racchiude tutto il dolore della madre, della moglie, della donna vinta. L’eroismo di Ettore, incapace di salvare il figlio, sembra paradossalmente esserne la causa ultima.
Andromaca secondo Seneca
Anche Seneca, nel I secolo d.C., riprende la figura di Andromaca nella sua tragedia “Le Troiane”. Qui, la protagonista appare travolta dal dolore ma anche capace di un gesto estremo: affrontare Ulisse, che vuole Astianatte. Dopo una disperata resistenza, finisce per cedere, travolta dal peso del destino. La morte del bambino, in questa versione, assume un’aura eroica, paragonabile a quella del padre.
La nuova vita di Andromaca in Tessaglia
In “Andromaca” di Euripide, troviamo la protagonista anni dopo i tragici eventi, ora concubina di Neottolemo in Tessaglia, madre di suo figlio. Sebbene ancora prigioniera, mostra coraggio e razionalità nel fronteggiare la gelosia di Ermione, moglie legittima di Neottolemo. L’uccisione di quest’ultimo da parte di Oreste apre la strada a nuove nozze con Eleno, fratello di Ettore, e alla fondazione di una nuova stirpe troiana.
Andromaca secondo Virgilio
Secondo Virgilio, Andromaca e Eleno si stabiliscono in Epiro, dove ricevono Enea. Il mito prosegue: dai figli nati da Andromaca con Neottolemo e poi con Eleno derivano stirpi nuove. Una di queste, guidata da Pergamo, la porta infine in Asia Minore, dove fonda una nuova città che porta il nome della Troia distrutta. Qui, dove tutto era iniziato, Andromaca può finalmente concludere il suo viaggio. Il mito resta vivo, fluido, trasformandosi con ogni epoca, ma sempre fedele all’immagine di Andromaca come custode della memoria e ponte tra vinti e vincitori.
Antologia – Andromaca
La festa di nozze di Saffo
Quando si parla di Ettore e Andromaca, il pensiero corre subito al loro ultimo, straziante incontro e allo spettacolo dello scempio del corpo di Ettore, cui Andromaca assiste dall’alto delle mura di Troia. Il destino del loro figlioletto, Astianatte, completa un quadro segnato da dolore e lutto.
Costituisce una felice eccezione a questo scenario tragico il frammento della poetessa Saffo qui presentato. In esso si celebra un raro momento di gioia, forse l’unico della tradizione poetica dedicato a questa coppia. Vi è descritto il festoso corteo nuziale: Ettore arriva a Troia portando con sé la sua giovane sposa Andromaca, principessa misia figlia del re Eezione. I Troiani accorrono in massa, tra musiche, canti e profumi che si diffondono nell’aria. La gente si accalca per vedere gli sposi e salutarli.
Questa atmosfera lieta e solenne, probabilmente parte di un più ampio epitalamio, celebra il matrimonio di una giovane del tiaso poetico di Saffo, proiettando sulla figura di Andromaca un riflesso di armonia e speranza.
Alle Porte Scee – L’Iliade di Omero
Questo è senza dubbio l’episodio mitico che più di ogni altro ha consacrato nei secoli l’immagine di Ettore e Andromaca come emblema dell’amore familiare e del destino tragico. Nessun artista ha osato alterarne la sostanza, sebbene ognuno l’abbia rielaborato con la propria sensibilità.
Omero intreccia magistralmente temi di affetto coniugale, preoccupazione paterna, tensione tra etica maschile e femminile, ideali eroici e premonizioni sul futuro. Ettore, nel congedarsi, pronuncia parole memorabili:“Nessun uomo, per quanto valoroso, può sfuggire alla Moira, il destino assegnato.” Quando tende le braccia al piccolo Astianatte, il bambino si spaventa alla vista dell’elmo crinito. Genitori e figlio allora ridono insieme. Ettore si toglie l’elmo, riabbraccia la moglie, stringe il figlio al petto odoroso: è un momento dolcissimo, sospeso tra gioia e presagio di morte.
Poi Ettore si rivolge ad Andromaca:“Torna in casa e dedica il tuo impegno alla tela e alla conocchia. Alla guerra penseranno gli uomini.” Detto ciò, indossa nuovamente l’elmo e si allontana, mentre Andromaca lo segue con lo sguardo, piangendo lacrime amare. Tornata nella casa accogliente di Ettore, si unisce alle ancelle nel compianto: piangono come se già sapessero che non lo vedranno mai più tornare.
Astianatte – Le Troiane di Euripide
Andromaca, dopo la caduta di Troia, apprende che i Greci hanno deciso di uccidere il piccolo Astianatte, considerato pericoloso per la discendenza troiana. Il bambino verrà gettato dalle mura della città.
La scena è tra le più struggenti del teatro di Euripide. La madre, devastata dal dolore, rievoca le fatiche della maternità, le cure dedicate al figlio, l’amore di Ettore ormai perduto, la solitudine di una madre che nulla può contro la crudeltà della guerra.
Accanto alla tenerezza delle parole, Andromaca indugia anche sulla crudezza della sorte che attende il figlio. Si lascia andare a un momento di abbandono e descrive con strazio i particolari della morte imminente del bambino, elevando il dolore materno a simbolo universale di impotenza e ingiustizia.
Andromaca in Epiro – Eneide di Virgilio
Nel suo viaggio verso il Lazio, Enea fa tappa a Buthrotum, in Epiro. È una sosta breve, ma carica di significato. Qui incontra Eleno, fratello di Ettore, e riceve da lui importanti profezie. Ma prima ancora, Enea incontra proprio Andromaca, intenta a compiere libagioni presso un cenotafio dedicato a Ettore.
Il tempo e i nuovi legami – prima con Neottolemo, poi con Eleno – non hanno cancellato in lei il ricordo del marito. Le parole e il portamento di Andromaca lo rivelano chiaramente. Ella appare ancora profondamente legata alla memoria di Ettore, al punto che ne piange la perdita come se fosse recente.
Virgilio ci mostra una figura femminile che, pur in esilio, non dimentica il proprio passato: una vedova simbolo di fedeltà, dolore e memoria eterna.
Il Cigno – Charles Baudelaire
Nel 1859, Charles Baudelaire compone la poesia Il Cigno, dedicandola a Victor Hugo, allora in esilio. L’esilio dell’amico diventa lo spunto per esprimere, attraverso immagini e simboli, il senso di smarrimento e abbandono del poeta stesso. Parigi, mutata dagli interventi urbanistici del barone Haussmann, non è più riconoscibile: il passato è perduto, l’identità sradicata.
Baudelaire pensa agli esiliati e ai dimenticati: un cigno sfuggito alla gabbia, una donna africana strappata alla sua terra, e soprattutto Andromaca, la vedova di Ettore.
Il suo nome apre la poesia:”Penso a te, Andromaca, quel breve fiume povero e triste specchio / dove un tempo splendeva la maestà immensa del tuo dolore di vedova…”
L’Andromaca di Baudelaire è quella virgiliana: esiliata in Epiro, intenta a piangere su una tomba vuota. Ma essa è anche simbolo di tutti i dolori senza patria, di tutti coloro che, come il poeta, si sentono stranieri persino nella propria città.
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