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Il Fedro di Platone: il mito dell’anima e l’arte di amare

Scopri il “Fedro” di Platone: un viaggio tra amore, anima e retorica, dove l’eros è un divino slancio verso il bello e la verità. Analisi del mito del carro alato, della reminiscenza e della vera arte oratoria.

Indice

L’amore come delirio divino

Il dialogo si apre con Fedro che racconta a Socrate un discorso di Lisia, celebre oratore ateniese, sull’amore. Lisia sostiene paradossalmente che sia meglio concedersi a chi non ama piuttosto che a chi ama, per evitare i problemi e le sofferenze che l’amore comporta.

Socrate critica con fine ironia lo stile e il contenuto del discorso di Lisia: pur essendo formalmente elegante, manca di vera sostanza filosofica. Socrate stesso, allora, propone dapprima un discorso simile per dimostrare le sue capacità retoriche, ma poi — sentendosi in colpa per aver denigrato l’amore, realtà sacra agli dèi — si lancia in un nuovo discorso in cui rivaluta l’amore come uno dei massimi doni divini.

Platone, attraverso Socrate, definisce l’amore (in greco eros) come una forma di divino delirio (theia mania), una ispirazione sacra che può condurre l’anima verso l’ascesa spirituale. Questo slancio d’amore non è irrazionale follia, ma un impulso che, se ben diretto, guida verso il Bello e il Vero.

Per comprendere appieno questo “delirio divino”, però, è necessario indagare la natura profonda dell’anima umana.

Il mito del carro alato: l’anima tra cielo e terra

Per descrivere l’anima, Platone introduce una delle sue immagini più celebri: il mito del carro alato.

L’anima è paragonata a un carro guidato da un auriga e trainato da due cavalli:

  • L’auriga rappresenta la parte razionale, che conosce il Bene e mira al vero.

  • Il cavallo bianco è la componente emotiva nobile: l’ardore, il coraggio, la passione positiva.

  • Il cavallo nero incarna invece le passioni disordinate, i desideri ciechi, la sensualità che tende verso il basso.

Nell’ordine cosmico divino, le anime — guidate da Zeus e gli altri dèi — cercano di elevarsi oltre la volta celeste per contemplare il mondo delle Idee, le realtà perfette ed eterne. Le anime pure riescono a mantenere il controllo del carro e raggiungono la visione delle Idee; quelle dominate dal cavallo nero perdono l’equilibrio, cadono e si incarnano nella dimensione terrena.

Questa allegoria descrive non solo la costituzione interna dell’uomo, ma anche la lotta continua tra ragione e passioni, tra aspirazione divina e attrazione materiale.

La caduta e la reincarnazione: il destino dell’anima

Le anime che non riescono a mantenere il volo cadono e si incarnano nei corpi mortali, dimenticando la conoscenza delle Idee. Tuttavia, il ricordo di quella visione suprema resta come un’eco nell’anima: è la teoria della anamnesi o reminiscenza, già accennata nel Menone.

Secondo Platone, la qualità della visione avuta prima della caduta determina il destino terreno dell’individuo:

  • Chi ha contemplato molte Idee si reincarna in un filosofo, amante della sapienza e della bellezza.

  • Chi ha avuto una visione parziale può rinascere come artista, legislatore o guerriero.

  • Chi non ha visto nulla o ha perso totalmente il contatto con il mondo ideale conduce una vita dominata dalle opinioni, prigioniero di illusioni e menzogne.

La vita terrena diventa così una prova di risalita: attraverso l’amore per il bello sensibile e la ricerca della verità, l’anima può riscoprire il suo antico sapere e tornare a elevarsi.

L’analogia tra anima e città: l’ordine interiore

Nel Fedro, come nella Repubblica, Platone collega la struttura dell’anima alla struttura ideale della città.

  • L’auriga (ragione) corrisponde ai filosofi, i custodi della conoscenza, che devono governare.

  • Il cavallo nobile (volontà/coraggio) rappresenta i guerrieri, la forza che difende la città.

  • Il cavallo ribelle (desideri) simboleggia i produttori, i lavoratori che si occupano delle necessità materiali.

La giustizia nell’individuo, come nella città, consiste nell’armonia tra le parti: la ragione deve governare, sostenuta dal coraggio e temperando i desideri. Quando invece il cavallo ribelle domina, si genera il caos interiore e sociale, conducendo alla disgregazione.

Questa analogia sottolinea quanto per Platone sia fondamentale la guida della ragione: il filosofo è chiamato a ordinare sia se stesso sia la comunità.

Miti a confronto: ante-vita e post-morte

Un aspetto interessante del Fedro è il modo in cui il mito differisce da altri racconti platonici.

  • Nel Fedro, il mito si concentra sulla vita dell’anima prima dell’incarnazione: sull’ante-vita, sulle cause spirituali delle differenze tra gli uomini.

  • Al contrario, dialoghi come il Gorgia, il Fedone o la Repubblica si soffermano sul destino dell’anima dopo la morte, sul giudizio e sulla sorte nell’aldilà.

In questo modo Platone costruisce una visione più completa della natura umana: ogni vita è il risultato di un viaggio interrotto, di un percorso di ascesa, caduta e possibile risalita.

La diversità degli esseri umani deriva dal diverso grado di “memoria” delle verità divine, ossia dalla differente capacità di reminiscenza.

L’amore e la retorica: la parola che conduce alla verità

Nel Fedro, Platone intreccia anche una riflessione sulla retorica. Non tutta l’arte della parola è condannabile: esiste una retorica autentica, che mira a guidare l’anima verso la verità, piuttosto che a persuadere con inganni.

La buona retorica si fonda sulla conoscenza della verità e sull’adattamento del discorso alla natura dell’anima dell’ascoltatore. Solo chi conosce l’anima può parlare in modo efficace, conducendo l’altro a ricordare la verità dimenticata.

Dunque, l’oratore ideale è simile al medico: conosce la natura dell’anima e sa quale parola è cura e quale, invece, veleno.

La tensione verso l’assoluto

Il Fedro è un dialogo che invita a una doppia conversione: dell’amore e del sapere. L’anima, per Platone, è lacerata tra l’anelito verso l’alto e il peso delle passioni terrene. L’amore, sebbene spesso nasca dal desiderio sensibile, può diventare il mezzo più potente per risalire verso il divino.

Allo stesso modo, il linguaggio, strumento potentissimo, deve essere orientato non alla manipolazione, ma alla ricerca e alla comunicazione della verità.

In definitiva, Platone ci ricorda che vivere bene significa non lasciarsi travolgere dal cavallo nero delle passioni, ma guidare il nostro carro interiore verso il cielo, alla conquista della conoscenza, della giustizia e della bellezza eterna.

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