Qual è l’undicesima fatica di Eracle? Il racconto della cattura di Cerbero
Nel cuore oscuro degli Inferi, regno di Ade e della sua sposa Persefone, nessun’anima osava sperare in un ritorno alla luce. Per impedire ogni fuga, il dio degli inferi aveva posto a guardia delle sue porte una creatura mostruosa: Cerbero, figlio di Tifone ed Echidna. Il suo corpo era quello di un cane, ma la sua natura era ben più spaventosa: tre teste canine pronte a sbranare chiunque, una coda simile a un serpente e, secondo alcune leggende, altre decine di teste di animali lungo il dorso.
Euristeo, il re che aveva imposto a Eracle le celebri dodici fatiche, ordinò all’eroe di portargli Cerbero vivo. Era un compito impossibile: scendere nel regno dei morti e tornare indietro. Prima di intraprendere il viaggio, Eracle si recò a Eleusi per purificarsi e ricevere l’iniziazione ai Misteri sacri. Solo dopo, accompagnato dagli dei Ermes e Atena, raggiunse una grotta che si diceva fosse un ingresso agli Inferi.
Oltrepassata la soglia, Eracle attraversò un mondo spettrale: incontrò le anime dei defunti e affrontò alcune di esse, come la guerriera Menite. Giunto davanti a Persefone e ad Ade, chiese il permesso di portare Cerbero in superficie. Il dio accettò, ma a una condizione: l’eroe avrebbe dovuto catturare il guardiano a mani nude.
Eracle depose le armi, armato soltanto della sua forza, della pelle del leone di Nemea e di una volontà incrollabile. Dopo una lotta furiosa, riuscì a immobilizzare il mostro e a legarlo. Ma Ade cercò di trattenerlo ancora. Fu solo quando Eracle lo ferì con una freccia che ottenne il via libera per risalire nel mondo dei vivi.
La luce del sole accecò Cerbero, che lasciò cadere dalla bocca della bile velenosa: lì, secondo il mito, nacque la pianta di aconito. Lungo la strada per Micene, la gente fuggiva terrorizzata al passaggio del mostro, e persino Euristeo si nascose nella sua famosa giara di bronzo. Una volta conclusa la fatica, Eracle riportò Cerbero ad Ade, mantenendo la parola data.