La morte di Achille, colpito al tallone da Paride con l’aiuto di Apollo, segna una svolta nella guerra di Troia: lutti, onori funebri, giochi solenni e una nuova contesa per le sue armi scuotono l’esercito greco
Il segreto di Achille
Apollo si recò da Paride per incoraggiarlo. Gli spiegò che, sebbene in quel momento i Greci sembrassero invincibili, sospinti dall’audacia del loro più valoroso eroe, non bisognava dimenticare ciò che il destino aveva stabilito: Achille era destinato a morire giovane, proprio sul campo di battaglia troiano. I suoi compagni lo sapevano bene, e per questo, nei momenti più pericolosi, non lo lasciavano mai solo, anzi gli stavano sempre vicini.
Ma Diomede, uno dei guerrieri più forti, era ferito. Paride avrebbe dovuto approfittare di quella momentanea debolezza per colpire Achille. Tuttavia, il figlio di Priamo esitava: più volte i Troiani avevano tentato di abbattere l’eroe, ma ogni colpo era risultato vano, come se Achille fosse invulnerabile. Si era sempre rialzato, estraendo le frecce dal proprio corpo, pulendosi il sangue, e tornando a combattere come se nulla fosse.
Paride ormai non credeva più che Achille fosse mortale. Ma Apollo insistette: gli rivelò il segreto. La madre di Achille, Teti, per renderlo immortale, lo aveva immerso ogni notte nelle fiamme, ma lo aveva sempre tenuto per il tallone, che era rimasto l’unico punto vulnerabile.
A quel punto Paride capì dove avrebbe dovuto colpire. Se fosse riuscito a ferire Achille al tallone, la morte dell’eroe sarebbe stata certa. Così, insieme ad Apollo, preparò un piano.
La morte dell’Eroe
Quando Achille giunse alle porte Scee, Apollo gli si parò davanti e gli intimò di ritirarsi. Ma il Pelide, indifferente anche alla divinità, lo minacciò con la lancia. Fu allora che Paride, nascosto dietro il dio, scoccò una freccia: si conficcò nel petto dell’eroe, ma senza causargli alcun dolore. Achille nemmeno se ne accorse e sfidò il suo aggressore ad affrontarlo apertamente. Non ottenendo risposta, si voltò per controllare se qualcuno lo stesse prendendo alle spalle. Paride, però, era ancora lì, nascosto, ma abbastanza vicino da vedere il tallone scoperto dell’eroe.
Incitato da Apollo, Paride scagliò una seconda freccia: colpì il bersaglio con precisione mortale. Achille crollò al suolo, gridando di dolore. Tutti, Greci e Troiani, si voltarono increduli. Paride, con l’arco ancora in mano, si mostrò. Achille, morente, riuscì solo ad accusarlo di viltà: colpire di nascosto, con l’aiuto di un dio, era una vergogna. Se avesse osato affrontarlo apertamente, l’eroe l’avrebbe ucciso senza difficoltà.
Poi, morì.
Intorno al suo corpo scoppiò un violento combattimento. Glauco, il prode troiano, cercò di impossessarsi del cadavere per portarlo entro le mura, sperando in un ricco riscatto. Ma Aiace Telamonio lo trafisse con la lancia. Accanto a lui c’era Odisseo, che lo esortò a riportare il corpo di Achille alle tende greche, mentre lui avrebbe trattenuto i nemici.
Aiace sollevò il corpo del compagno e lo trasportò via, piangendo. Odisseo, da solo, fronteggiò i Troiani. Solo con il calare della sera la battaglia cessò, e i due eserciti si ritirarono.
Il giorno seguente i Greci seppellirono i caduti. Nestore, colpito dalla perdita del figlio, pianse in silenzio. Ma ciò che davvero li privava della speranza era la morte di Achille. Per onorarlo, esposero il suo corpo lavato e unto su un letto funebre, affinché tutti potessero piangerlo. Le donne greche si tagliarono i capelli in segno di lutto e iniziarono i lamenti.
Dal mare emerse Teti, la madre, e alla vista del cadavere emise un grido straziante, che fece tremare anche i più valorosi. Pianse a lungo, fino a prosciugare ogni lacrima. Poi chiese alle Nereidi di intonare il canto funebre, cui si unirono anche le Muse. Le loro voci, limpide e commosse, si diffusero nell’accampamento.
Il lutto e l’onore
I Greci innalzarono una pira per cremare il corpo dell’eroe, ma prima che il fuoco fosse acceso, Teti lo trafugò. Lasciò solo il tallone sulla pira e portò il resto del corpo in un’isola lontana, l’Isola Bianca sul Mar Nero. Lì, ottenne da Zeus che il figlio potesse rinascere, divenendo immortale come Memnone, figlio dell’Aurora.
Intanto, i Greci raccolsero le ceneri del tallone e le unirono a quelle di Patroclo in un’unica urna. Sulla cima del promontorio dell’Ellesponto, costruirono un tumulo grandioso e celebrarono solenni giochi funebri in onore dell’eroe.
Fra i vincitori: Eumelo nella corsa con il carro, Diomede nella corsa a piedi, Teucro nel tiro con l’arco. Ma i più lodati furono Aiace nel lancio del disco e Odisseo nel pugilato. Entrambi ringraziarono gli dèi. In particolare, Odisseo offrì sacrifici ad Apollo, divenuto protettore dei pugili dopo aver punito il superbo Marone, che uccideva gli avversari vinti.
I giochi erano terminati, ma una nuova disputa si profilava all’orizzonte: sia Aiace che Odisseo attendevano di ricevere in premio le armi di Achille. La contesa era appena cominciata.