Scopri il mito di Apollo e Admeto: un intreccio di amore, sacrificio e redenzione con protagonisti il dio Apollo, il re Admeto, la devota Alcesti e l’eroico Eracle. Un racconto affascinante della mitologia greca tra passione umana e interventi divini.
🏛️ INDICE
L’ira del Dio e l’esilio di Apollo
Il mito di Apollo e Admeto prende le mosse da un evento tragico e potente: la morte di Asclepio, figlio di Apollo e simbolo divino della medicina. Quando Zeus colpisce Asclepio con un fulmine per punirlo di aver risuscitato i morti, la collera di Apollo esplode con una violenza inaudita. Il dio, pur sapendo di non potersi vendicare direttamente contro Zeus, non riesce a contenere la sua furia e rivolge la propria vendetta contro i Ciclopi, artefici del fulmine fatale. Scaglia le sue frecce contro di loro e li uccide, macchiandosi di un crimine grave agli occhi degli dèi.
Zeus non lascia impunito questo gesto e punisce Apollo costringendolo a vivere un anno sulla Terra come mortale. Tuttavia, gli concede almeno la libertà di scegliere chi servire. Apollo sceglie Admeto, re di Fere in Tessaglia, un uomo noto per la sua gentilezza, la pietà e il rispetto verso gli dèi. Qui ha inizio un incontro tra divinità e umanità che prenderà la forma di un rapporto unico: Apollo non solo si fa servo del re, ma diventa per lui una guida, un protettore, e secondo alcune versioni, persino un amante.
Il legame tra Apollo e Admeto è carico di significati simbolici. Alcune fonti antiche leggono in esso una relazione di tipo omoerotico, coerente con certi modelli pedagogici e affettivi del mondo greco, in cui un dio o un eroe più anziano educava e amava un giovane. Tuttavia, nella versione più diffusa, questo rapporto si incarna in un affetto profondo e spirituale che mette in luce la bontà di Admeto e la funzione benefica di Apollo, il quale diventa pastore per il re tessalo, addomestica le belve selvagge, benedice le greggi e arricchisce il regno.
Non è un caso che, nel culto, Apollo venga celebrato anche come dio della pastorizia, con epiteti che lo designano come protettore degli armenti. In questo episodio il mito sembra voler giustificare proprio questa sua funzione, legandola a un’esperienza di esilio e redenzione, a un momento di umiltà che arricchisce il dio stesso di nuove qualità: non solo arciere implacabile e patrono delle arti, ma anche custode della vita quotidiana e della natura addomesticata.
Il matrimonio e la prova del leone e del cinghiale
Admeto, oltre ad essere un re giusto e benevolo, è anche un uomo appassionato. Quando si innamora di Alcesti, figlia di Pelia, resta affascinato dalla sua bellezza e dalla sua straordinaria virtù. Alcesti è desiderata da molti, ma il padre ha posto una condizione tremenda: solo chi riuscirà a aggiogare a un solo carro un leone e un cinghiale potrà sposarla. Un’impresa folle e quasi sacrilega, che nessun uomo da solo potrebbe realizzare.
Ma Admeto non è solo. Al suo fianco c’è Apollo, che ancora legato da stima e affetto al suo re terreno, decide di aiutarlo. Il dio doma le due belve selvagge e le mette al servizio dell’amico. Grazie a lui, Admeto riesce a compiere l’impresa e ottiene in sposa Alcesti. La scena è altamente simbolica: il matrimonio non è soltanto una conquista romantica, ma una prova iniziatica, un passaggio che sancisce la crescita dell’eroe. È Apollo, infatti, che trasforma l’istinto e la ferocia in armonia e unione, rendendo possibile l’amore umano.
Tuttavia, il lieto fine è solo temporaneo. Un oscuro destino incombe su Admeto. Le Moire, le divinità del fato, decidono che la sua vita deve finire. Non c’è ragione apparente: il mito non offre una colpa specifica. Forse è una punizione per aver prolungato la propria vita con l’aiuto divino, forse è la conseguenza di un ordine cosmico superiore. Sta di fatto che la morte bussa alle porte del re, giovane, felice e appena sposato.
Ancora una volta è Apollo a intervenire. Il dio supplica le Moire e ottiene una parziale deroga: Admeto potrà continuare a vivere, ma solo se qualcuno accetterà di morire al suo posto. È una richiesta che sembra realistica agli occhi del re: è giovane, famoso, ricco, benvoluto. Ma la realtà sarà ben più cruda e amara.
Il sacrificio di Alcesti
Quando Admeto propone il patto, inizia un momento drammatico e rivelatore: nessuno è disposto a sacrificarsi per lui. Non gli amici, non i sudditi, non i genitori. Particolarmente scioccante è il rifiuto del padre e della madre, ormai anziani. In un dialogo tra Admeto e il padre, il vecchio rivendica il diritto di godere fino in fondo dei pochi giorni che gli restano: “Preziosa per me è la luce del sole”. È un momento disilluso e profondamente umano. L’amore per la vita è troppo forte, persino per chi ne ha conosciuto quasi tutta la durata.
Ed è allora che Alcesti, la giovane moglie, si fa avanti. Madre di due bambini piccoli, decide volontariamente di morire al posto del marito. Il suo gesto è al tempo stesso sublime e tragico: Alcesti è l’incarnazione dell’amore totale, che sa sacrificare sé stesso pur di conservare la felicità dell’altro. Non è solo moglie innamorata, è anche figura eroica, nuova Antigone, donna che mette in discussione il confine tra volontà divina e scelta umana.
Il giorno della morte arriva. Thanatos, il demone della morte, si presenta per reclamare la sua vittima. Apollo tenta ancora una volta di opporsi. Lo affronta direttamente, minaccioso, come se volesse imporgli di cambiare rotta. Ma Thanatos è irremovibile: le Moire hanno già concesso una deroga, e ora il patto deve essere mantenuto. Alcesti muore, e il palazzo di Fere cade nel lutto. Admeto è distrutto. Il re che voleva vivere ad ogni costo si ritrova con una vita vuota, una reggia senza gioia, un regno senza amore.
Eracle e il ritorno della vita
Mentre la tragedia sembra giungere al suo compimento, arriva sulla scena un nuovo personaggio: Eracle. L’eroe è in viaggio per una delle sue fatiche e giunge a Fere, chiedendo ospitalità. Admeto, pur immerso nel dolore, non gli nega l’accoglienza. Un gesto di dignità e ospitalità che colpisce profondamente Eracle. Quando scopre che il re ha nascosto la morte della moglie per non turbare il suo soggiorno, si sente in debito.
Eracle decide allora di restituire ad Admeto ciò che ha perso. Insegue Thanatos, lo affronta in un corpo a corpo titanico e, con la forza sovrumana che lo contraddistingue, riesce a strappargli la preda. Riporta Alcesti tra i vivi. La scena è potente: Admeto, rientrato dal funerale, riceve da Eracle una donna velata. Non la riconosce subito, ma quando si rende conto che si tratta della moglie, il miracolo si compie.
Il mito si conclude con un inaspettato lieto fine. Non è Apollo a salvare Alcesti, ma Eracle. Eppure il ruolo di Apollo resta fondamentale: senza di lui, Admeto non avrebbe mai conosciuto l’amore di Alcesti né avuto la possibilità di ottenere una seconda possibilità. È come se le due figure divine – Apollo e Eracle – rappresentassero due forze complementari: la grazia e la potenza, la bellezza e il coraggio, il pensiero e l’azione.
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📚 Letture consigliate:
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- Robert Graves – I miti greci (disponibile su Amazon) Prima della scienza, prima della religione, c’è il mito. Modo ingenuo – ci dicono – modo fantasioso, spregiudicato e prescientifico, di spiegare l’origine delle cose e degli uomini, gli usi i costumi e le leggi. Filologia, etnografia, antropologia hanno lacerato il velo del mito, evidenziandone le radici ideologiche, il retroterra di superstizione e di magia.