Il duello tra Achille ed Ettore, cuore tragico dell’Iliade. Tra onore, vendetta e destino, rivive la più famosa battaglia di tutti i tempi.
Ettore e Andromaca
Andromaca lo aveva supplicato di non andare. Era salita sui ventosi spalti delle mura di Troia, dove le isole lontane brillavano all’orizzonte. Scrutava la pianura, cercando suo marito. Poi, all’improvviso, lo vide: Ettore, sotto di lei, presso le porte Scee. Era tornato in città, giusto il tempo di offrire un’ultima preghiera agli dèi.
Andromaca, figlia dell’ultimo re di Tebe, discese in fretta i gradini della torre. Non voleva perdere anche Ettore, come aveva perso suo padre, i suoi fratelli, e il resto della sua stirpe. Prese in braccio il figlioletto Astianatte, profumato d’olio d’iris e rosa, e lo strinse al seno. Senza parlare, Ettore accarezzò il bambino. Andromaca, in lacrime, afferrò il braccio del marito e lo pregò di restare, di combattere sulla difensiva, di non affrontare Achille. Ma Ettore non cedette. Abbracciò il figlio, pregando che un giorno diventasse un eroe, poi lo restituì alla madre e tornò al suo dovere.
Due giorni dopo, Ettore era di nuovo in battaglia. A casa, Andromaca lavorava al telaio, intrecciando nel manto fiori e fili di porpora come talismano. Aveva ordinato di scaldare un calderone d’acqua: voleva offrire a Ettore un bagno caldo al suo ritorno.
La battaglia continua
Quel giorno, i Troiani guidati da Ettore avanzarono fino alle navi greche. Era il cuore pulsante del conflitto. I Greci opposero resistenza feroce, ma i loro eroi vennero feriti uno dopo l’altro: Agamennone, Diomede, persino Odisseo.
Ettore ignorò i presagi e i consigli prudenti del saggio Polidamante. Preferì condurre un attacco frontale, conforme all’onore dell’età del bronzo, seppure militarmente discutibile. Con cinque battaglioni suddivisi, spinse i Troiani contro il bastione greco. Un colpo immenso aprì una breccia: i Troiani entrarono. Fu un giorno di sangue e gloria.
I Greci si riorganizzarono sotto Aiace e Teucro. Zeus stesso, indignato dagli inganni degli dèi, sostenne i Troiani, mentre Apollo spianava loro il cammino. Le due fazioni si affrontarono in combattimenti corpo a corpo, il suolo intriso di sangue. Ettore, ferito da una pietra scagliata da Aiace, fu salvato dai suoi e cadde privo di sensi, per poi riprendersi miracolosamente.
Nel cuore della battaglia, le torce troiane toccarono le navi greche.
La morte di Patroclo
Achille, ancora lontano dal campo, vide le fiamme. Fu allora che Patroclo, il suo più caro amico, ottenne il permesso di indossare la sua armatura. Scese in campo con i Mirmidoni come un turbine. Spense il fuoco, respinse i Troiani, e condusse un inseguimento fino sotto le mura di Troia, violando gli ordini di Achille.
Tra le sue vittime c’era Sarpedonte, figlio di Zeus. La battaglia per il suo corpo fu furiosa. Alla fine, Ettore fu costretto a ritirarsi, ma Patroclo, esaltato, si spinse oltre. Apollo lo colpì, Euforbo lo ferì, ed Ettore lo finì con un colpo al ventre. La morte di Patroclo risvegliò il furore di Achille.
Achille contro Ettore
In lutto, il Pelide tornò alla battaglia, accettando finalmente la riconciliazione con Agamennone. Rivestito di una nuova armatura forgiata da Efesto, si lanciò come un dio tra le fila troiane, mietendo vittime senza pietà. Ettore, consapevole della sua colpa e del proprio destino, lo attese fuori dalle mura. Fuggì, poi si fermò, sapendo che il disonore sarebbe stato peggiore della morte. Achille lo inseguì. Dopo tre giri attorno alla città, lo uccise.
Colpito alla gola, Ettore cadde, profetizzando la morte imminente di Achille. Ma il Pelide, accecato dal dolore, legò il corpo dell’eroe troiano al suo carro e lo trascinò attorno alla città. A Troia, Andromaca vide la scena dalle mura.
Straziata, si gettò a terra. Ettore, suo marito, il padre di suo figlio, era morto. Il suo corpo oltraggiato, mentre Achille cantava la sua vendetta.
Solo dopo l’intervento di Zeus, Achille restituì il corpo al vecchio Priamo, venuto a supplicarlo nella notte. Il re baciò le mani dell’uccisore del figlio, e l’eroe infine si placò. I Greci concessero undici giorni di tregua per i funerali.