Riassunto del libro ventesimo dell’Iliade – Gli dei tornano in campo e la furia di Achille si scatena
Nel ventesimo libro dell’Iliade, la tensione sul campo di battaglia raggiunge un nuovo apice. Dopo la riconciliazione tra Achille e Agamennone, il figlio di Peleo è pronto a rientrare in guerra, e il suo ritorno fa tremare i Troiani. Ma Zeus sa che, lasciato libero di agire, Achille potrebbe non solo massacrare i nemici, ma anche affrettare la caduta di Troia prima del tempo stabilito dal destino. Per questo motivo, il sovrano dell’Olimpo richiama gli dèi e revoca il precedente divieto di interferenza nelle vicende umane.
Tutte le divinità si precipitano sulla terra, ma, anziché intervenire direttamente, scelgono di osservare lo scontro da due colline opposte, seguendo le sorti dei loro protetti con occhio curioso e partecipe.
Prima di ritirarsi, però, Apollo incita il troiano Enea ad affrontare Achille in duello. I due si scambiano insulti e si preparano allo scontro, ma proprio quando Achille sta per infliggere un colpo mortale, interviene Poseidone, che salva Enea per compassione, suscitando irritazione tra gli dèi filo-greci.
La scena si sposta poi su Ettore, il più valoroso dei Troiani. In un primo momento, seguendo il consiglio di Apollo, decide di non affrontare Achille direttamente. Ma la vista del greco che uccide spietatamente i suoi compagni, incluso uno dei suoi fratelli, lo spinge a sfidarlo. Il duello però è disastroso per Ettore, e Apollo è costretto a intervenire nuovamente per sottrarlo alla morte.
Analisi: La furia di Achille e il ruolo degli dèi
Nonostante la pace fatta con Agamennone, Achille non appare cambiato: la sua ira resta intatta, sebbene abbia mutato bersaglio. Se prima si rifiutava di combattere, ora è assetato di vendetta contro i Troiani, e la sua furia diventa ancora più pericolosa. In preda al desiderio di sangue, vorrebbe che i soldati greci tornassero subito a combattere senza nemmeno mangiare, mostrando un’incoscienza che può essere fatale in un conflitto tanto fisico.
Achille non risparmia nessuno: uccide Tros anche quando questi lo implora per la vita, rivelando quanto sia ancora accecato dal dolore e dalla rabbia per la morte di Patroclo. Le immagini usate nel testo—che lo paragonano al sole o a un fuoco inumano—ricordano l’Achille “ardente” del primo libro. La sua rabbia, dunque, non si è placata: si è soltanto trasformata in una forza distruttiva che travolge tutto ciò che incontra.
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