A novembre 2020, Ghénos nelle stanze dai colori a pastello del meraviglioso studio di Piazza Plebiscito al civico 7 di San Giorgio di Nogaro, ha compiuto 5 anni. L’equipe delle dott.sse Bianca Cirillo di Bagnaria, Flavia Lava di Gonars, Silvia Orso di Cervignano, psicologhe e psicoterapeute, con la collaborazione di una logopedista e di una psicologa dell’età evolutiva, è ormai un punto di riferimento nella bassa friulana. Il servizio è rivolto a bambini, adolescenti, adulti, anziani e famiglie nelle varie fasi del ciclo di vita per rispondere alle diverse situazioni di difficoltà e di disagio psicologico, attraverso percorsi mirati che tengano conto delle specifiche esigenze di ciascun individuo. Alla parola di origine greca, Ghénos, può essere associato il concetto di Gens romana, concretamente indica una vivente realtà che plasma gli individui che vi appartengono e indica i legami di parentela intergenerazionale, in cui i membri identificano se stessi, creando un senso di appartenenza. Abbiamo chiesto a queste professioniste come sta cambiando, secondo la loro esperienza, questa pandemia le nostre comunità.
La pandemia ci ha travolto inaspettatamente, non solo dal punto di vista sanitario…
No, stiamo assistendo oggi ad pandemia che possiamo definire psicologica, che sta investendo indistintamente adulti, adolescenti e bambini soprattutto per quanto riguarda gli aspetti emotivi, mentre prima la criticità riguardavano maggiormente l’area cognitiva o dell’apprendimento. Gli aspetti emotivi a cui assistiamo colpiscono soprattutto la fascia più bassa di età e si manifestano in particolare con la fobia del ritorno al relazionarsi, del distacco dai genitori che, dal canto loro, sono sempre più spaesati nella gestione. I malesseri si possono esprimere attraverso pianto eccessivo, comportamenti regressivi, paura, tristezza, irritabilità, calo del rendimento scolastico, difficoltà di attenzione e concentrazione, diminuzione delle attività che si facevano in passato, sintomi somatici.

Le richieste di aiuto sono aumentate?
Certamente, all’utenza nuova che richiede aiuto si aggiungono le situazioni già in carico che invece si sono aggravate con la pandemia. I genitori si sono ritrovati soli perché il lockdown ha tolto figure fondamentali come quelle scolastiche, che pur presenti e disponibili non hanno dovuto modificare le loro modalità di approccio agli studenti, e per molti mesi il carico dell’apprendimento è ricaduto sui genitori che hanno molti più dubbi e non sanno su chi appoggiarsi. Purtroppo il fatto che non ci sia un termine, una data certa, crea frustrazione e i genitori diventano a loro volta vittime degli eventi. Il carico è tanto ed è cambiato con la paura del contagio prima sanitario e adesso legata all’incertezza economica e a un crescente senso di impotenza e di stress. Se un anno fa si facevano i conti con la paura del contagio e la vulnerabilità della propria condizione sanitaria, ora si fanno i conti con la stanchezza per i tempi di questa pandemia, la frustrazione e il senso di impotenza, la rabbia, la solitudine data dall’isolamento e il crollo delle proprie convinzioni.
Tra le cause di insofferenza?
Le informazioni si susseguono senza sosta 24 ore su 24 e le persone spesso hanno immagini che si ripetono in continuazione. Sono soprattutto la contraddizione e la confusione nella comunicazione a generare ansia, rabbia, confusione e quel senso di “oddio cosa mi sta succedendo” a cui non riescono a dare risposta. Le emozioni non vengono più ascoltate e, invece, sarebbe necessario dare un senso a quello che sta accadendo e capire e accettarle come reazioni normali ad una situazione anormale. Per chi ha contratto il virus poi, possono emergere difficoltà nell’accettare una nuova immagine di sé, che deve integrare anche la consapevolezza della propria vulnerabilità e della propria fragilità.

La socialità è cambiata…
Manca il contatto e il semplice abbraccio soprattutto ai bambini che spesso chiedono se e quando potranno riabbracciare i nonni. È una socialità trasformata che non sappiamo come evolverà perché si stanno scoprendo e sperimentando diverse e nuove gestualità e altri modi che prima non conoscevamo.
Come è vissuto lo smartworking, per chi ha il lusso di avere un lavoro?
Lo smartworking è stata la grande scoperta in prima battuta, ma nel lungo periodo le persone si sentono soffocate e in sovraccarico in special modo quelle su cui ricade la gestione di figli o anziani, con la mancanza della suddivisone dei tempi della giornata porta ad aumentare lo stress. In questo contesto diventa attuale il tema della disconnessione, siamo sempre connessi per lavoro e svago. Dai dati che iniziano ad emergere sembra che la fascia più in difficoltà sia quella dai 35 ai 49 anni e all’interno di essa spiccano le donne su cui ricade il carico maggiore e coloro che richiedono maggiormente aiuto.

Ha preso posto via via nuova routine…
Le situazioni sembrano essersi capovolte e oggi la serenità rappresenta solo un momento fugace, una parentesi che ognuno vive in maniera diversa e chi già soffriva per esempio di ansia o di vulnerabilità ha peggiorato la sua condizione con un aggravarsi della mancanza di senso di sicurezza e la perdita della routine facendo difficoltà ad accettarne una nuova. Ricordiamoci che ci sono stati periodi in cui anche la spesa era diventata un’occasione per uscire. La mascherina, seppur indispensabile e nostra protezione fondamentale, da canto suo diventa una barriera sia nelle comunicazioni in remoto come la DAD, sia per un semplice incontro per strada perché spesso non capendo il labiale del saluto si tende a evitare proprio di salutare. Ciò che è stato possibile osservare è un viraggio da un primo lockdown che era stato vissuto da molti abbastanza bene, seppur con la paura per un virus ancora sconosciuto che ha fatto emergere il sentimento di vulnerabilità e con le difficoltà dovute alla convivenza forzata continua che ha leso gli spazi e i momenti personali, ma ha anche stimolato il senso di comunità sociale con i canti dai balconi, il pane fatto in casa e un’occasione per stare più tempo con i bambini. Durante la seconda ondata invece sono emerse le problematiche comprese quelle della DAD che ha mostrato, anche a chi può permettersi di avere strumenti e collegamento internet, i suoi limiti. Infatti non si possono passare le stesse ore vissute in presenza in aula, davanti al Pc. L’adolescenza, in particolare, ha vissuto una mancanza del senso di appartenenza e di confronto. E, anche nella nostra Regione, questa seconda ondata ha fatto emergere le problematiche legate all’elaborazione dei lutti dovuti al Covid, il sostegno al personale sanitario.
Quale la speranza?
Dalla difficoltà le famiglie e in generale i singoli individuai possono trovare le risorse per l’adattamento, perché comunque questa situazione è transitoria, seppur dura e logorante. Il genere umano è dotato di una grande capacità di adattamento che può esprimersi solo se riusciamo a dare un significato a quanto ci accade e se riusciamo a riconoscere le risorse che mettiamo in atto di fronte agli eventi della vita, solamente in questo modo riusciamo a crescere. La possibilità di un processo di crescita dopo eventi avversi sembra essere collegato allo sviluppo di un apprendimento, dando un senso a ciò che è accaduto e può contribuire alla costruzione di nuove relazioni e rinsaldamento di quelle vecchie, maggiore empatia, cambiamenti negli scopi di vita, cambiamento nella percezione della propria identità e della propria autoefficacia.
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